Il test di gravidanza è positivo!

Il test di gravidanza è positivo!

Il tuo test di gravidanza è risultato positivo.

 

Sia che tu abbia tanto desiderato una gravidanza, sia che questa giunga inaspettata, adesso è il momento di prendere consapevolezza delle tue emozioni e delle tue reazioni.

Accettale con serenità, senza giudicarti o sentirti a disagio, anche quando avverti ambivalenza o conflittualità in quello che provi.

Pensando alle tante donne che ho accompagnato dall’inizio della gravidanza alla nascita dei loro bambini, provo ad accennarti alle reazioni più comuni: così chiariamo subito che non sei sola!

Incredulità

Soprattutto se da un po’ di tempo provi a rimanere incinta, o se hai avuto delle precedenti esperienze negative, la tua prima reazione potrebbe essere di incredulità: “Sarà vero?”

Felicità

Finalmente si avvera il tuo sogno e ti senti davvero felice.

Orgoglio

Sei fiera di te, senti di essere stata “brava”.

Amore

Ti senti piena di tenerezza e di amore, immagini di avere già il piccolo tra le braccia, sogni a occhi aperti quello che farete tutti e tre assieme.

Entusiasmo, progettualità

Ti senti carica di energia, vuoi preparare la casa per accogliere il bambino, acquistare i suoi abitini, comunicare a tutti la vostra gioia.

Tutto bene dunque? Niente affatto!

Assieme all’entusiasmo e alla positività, potranno manifestarsi sentimenti del tutto opposti e ciò potrebbe spiazzarti.

Sentimenti di Ambivalenza

Credevi di volere tanto questo bambino, e, adesso che sta per arrivare, a volte ti sorprendi ad avere dei dubbi.

Paura

Le paure sono tante e compaiono fin dal primo momento: timore che la gravidanza non vada a buon fine, paura del parto, o che il bambino non sia sano.
Una delle paure più frequenti che mi capita di sentire è quella di morire, anche in donne che prima della gravidanza non avevano questo timore. Con la consapevolezza della gravidanza, compare l’angoscia al pensiero che il piccolo possa crescere senza la mamma.

Insicurezza

Se non hai altri figli e se non hai esperienza di bambini piccoli, puoi sentirti insicura e temere di non essere all’altezza di essere mamma, in fondo nessuno ce lo insegna!

Preoccupazioni

Stai per affrontare un cambiamento così grande le preoccupazioni sono più che comprensibili.
Potrai chiederti se la nascita del bambino potrà portare cambiamenti nel tuo lavoro, se avrete difficoltà economiche, o se la vostra casa è adatta ad accoglierlo, o ancora se ci saranno persone nella tua famiglia disposte ad aiutarti.

Apprensioni relative al partner

Ti chiedi se lui accetterà i cambiamenti del tuo corpo, o se si allontanerà. Qualche volta avrai il timore che la vostra vita di coppia possa perdere intensità, altre volte ancora ti chiederai se sarà un buon padre.

Inquietudine, ansia

Va tutto bene, però non sei mai del tutto tranquilla e ogni tanto compaiono pensieri negativi che ti inquietano.

Pensiero ambivalente riguardo al tuo corpo

Se da un lato ti senti fiera della tua pancia che crescerà, dall’altro potrai nutrire delle preoccupazioni riguardo i cambiamenti del tuo corpo.
Potrai chiederti se il tuo partner ti apprezzerà ancora, se ti piacerai, se dopo il parto tornerai come prima.

Isolamento

Soprattutto se sei una donna molto attiva e con una vita sociale intensa, potrai vivere con frustrazione le inevitabili limitazioni imposte dalla gravidanza e qualche volta avrai l’impressione di sentirti sola.

Che fare?

Accetta tutto quello che provi senza giudicarti.

L’ambivalenza è presente in tutti i rapporti umani veramente autentici e ne devi semplicemente prendere atto.

Sarà la stessa ambivalenza che ti farà sentire una “cattiva mamma” quando ti alzerai a fatica dopo l’ennesimo risveglio notturno, e piena di amore due secondi dopo!

Confrontati con le altre donne.

Scoprire che le tue emozioni, le tue paure, le tue contraddizioni sono comuni ti aiuterà di sicuro, così come ti aiuterà vedere come le altre donne affrontano le tue stesse ansie.

Aspetti un bambino e desideri essere seguita online?

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Puoi usufruire di una guida dedicata alle mamme e alle coppie per accompagnarle dall’inizio della gravidanza fino al parto e al puerperio.
Con la mia guida, imparerai il RAT (Training Autogeno Respiratorio) la tecnica di rilassamento più utilizzata per la preparazione al parto.
L’obiettivo è vivere con serenità una fase della vita ricca di emozioni, a volte contrastanti e arrivare preparati alla grande festa della nascita.

Training Autogeno Respiratorio RAT

Training Autogeno Respiratorio RAT

Il metodo RAT

 

Con il Training Autogeno Respiratorio si vivono meglio i mesi della gravidanza e si partorisce serenamente e con meno dolore.

La nascita di un bambino è un evento fisiologico da vivere con serenità, ed è anche una festa, un momento forte nella vita della coppia.

Il metodo che utilizzo  è il Training Autogeno Respiratorio (RAT), una emanazione del Training Autogeno classico, appositamente modificato per la preparazione alla nascita.

Nei miei corsi mi rivolgo alla coppia,  chiedendo espressamente che il futuro padre sia presente agli incontri e, se possibile, anche al parto.

Ritengo che non solo il parto, ma anche la  l’inserimento del bambino nella famiglia siano momenti molto delicati.

Se vengono ben affrontati, è possibile prevenire tanti problemi che spesso affiorano dopo la maternità (depressione, cattiva percezione dello schema corporeo da parte della donna, difficoltà di coppia, solo per citarne alcuni).

Si parte dal presupposto che ciò che non si conosce ingenera ansia e paura e che la paura è il primo anello della catena paura – tensione – dolore.

Fondamento del metodo è l’apprendimento degli esercizi RAT.

Attraverso una progressione di sette esercizi di rilassamento,  la gestante impara unmetodo che investe sia la sfera fisica che quella psichica e di cui può giovarsi già in gravidanza.

Tale rilassamento verrà utilizzato durante il travaglio e il parto per renderne l’espletamento più rapido e meno doloroso.

È provato che la madre ben rilassata aiuta il suo bambino a nascere con minor trauma rispetto a quella tesa e spaventata.

Non ultimo, il fatto di apprendere una tecnica che può essere utilizzata in proprio, anche in assenza dell’operatore, dà alla futura madre un’autonomia e un senso di padronanza di sé nel momento in cui pone le basi del rapporto che la legherà al proprio figlio.

 

Come e dove si svolge

 

Il corso può essere seguito online, oppure in studio.

Il corso online contiene le linee guida per una gravidanza serena e la descrizione degli esercizi RAT, corredata da una guida audio per eseguirli a casa.

Durante tutto il percorso, assisto personalmente da remoto le gestanti.

Il corso in studio si articola in sette sedute, ciascuna ripartita in due momenti distinti. Nella prima parte dell’incontro vengono fornite informazioni circa i meccanismi fisiologici e psicologici del dolore, la gravidanza, il parto, il puerperio.

Nella seconda parte, si eseguono assieme gli esercizi di rilassamento.

 

Quanto costa

 

Il corso online costa 142 euro e comprende l’assistenza da remoto per tutta la durata del percorso.

Si può trovare sulla piattaforma dedicata ai corsi online: corsi.patriziabelleri

In casi particolari, è possibile prenotare una o più sedute online per affrontare problematiche specifiche. In questi casi, il costo di ciascuna seduta è di 70 euro.

Per chi desidera seguire il corso in studio, il costo è di 70 euro per ogni seduta.

I costi dei corsi vengono fatturati come “prestazioni sanitarie”.

Per ulteriori informazioni o per prenotare un incontro: Scrivere a info@patriziabelleri.it oppure Telefonare al 339.1480.554

In caso di mancata risposta, lasciare un messaggio in segreteria, oppure inviare un SMS o un messaggio su Whatsapp.

Desideri essere seguita online?

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Puoi usufruire di una guida dedicata alle mamme e alle coppie per accompagnarle dall’inizio della gravidanza fino al parto e al puerperio.
L’obiettivo è vivere con serenità una fase della vita ricca di emozioni, a volte contrastanti e arrivare preparati alla grande festa della nascita.

Il metodo RAT

Il metodo RAT

Il metodo RAT (Training Autogeno Respiratorio) deriva Training Autogeno classico ed è stato appositamente pensato per le esigenze della gestante.

La nascita di un bambino è un evento fisiologico da vivere con serenità, ed è anche una festa, un momento forte nella vita della coppia.

Con il Training Autogeno Respiratorio si vivono meglio i mesi della gravidanza e si partorisce serenamente e con meno dolore.

Attraverso una progressione di sette esercizi si può imparare un tipo di rilassamento che investe sia la sfera fisica che quella psichica e aiuta a stare meglio già in gravidanza.

Verrà poi utilizzato durante il travaglio e al momento del parto per partorire con più serenità.

L’intento principale del RAT è spezzare il circolo vizioso paura -> tensione -> dolore.

La donna non adeguatamente preparata, al momento in cui avverte la contrazione si spaventa, la paura la porta a contrarre tutti i muscoli e la tensione che deriva dalla contrazione aumenta la percezione del dolore.

Attraverso l’allenamento con il metodo RAT, la gestante impara a rilasciare i muscoli e a rimanere rilassata durante il travaglio.

È provato che la mamma ben rilassata aiuta il suo bambino a nascere con minor trauma rispetto a quella tesa e spaventata.

Gli esercizi RAT sono:

  • Rilassamento attivo e progressivo
  • Immaginazione e immedesimazione unitaria del corpo
  • Immaginazione e immedesimazione frazionata del corpo
  • Commutazione autogena
  • Respiro autogeno
  • Risposte paradossali e abitudini
  • Condizionamento semantico

Ciascuno richiede – per essere appreso – almeno una settimana di allenamento regolare e costante.

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Puoi usufruire di una guida dedicata alle mamme e alle coppie per accompagnarle dall’inizio della gravidanza fino al parto e al puerperio.
L’obiettivo è vivere con serenità una fase della vita ricca di emozioni, a volte contrastanti e arrivare preparati alla grande festa della nascita.

Preparazione alla nascita

Preparazione alla nascita

Perché può essere utile un corso di preparazione al parto?

 

Secondo la mia esperienza, è utile seguire un percorso per affrontare con consapevolezza un momento vitale nella storia di una coppia.

Si partorisce comunque, anche senza aver seguito un corso, e nel passato non si dedicava tanta attenzione alla preparazione a un evento naturale.

Oggi si decide con sempre maggiore consapevolezza di avere un figlio, e il momento per averlo, e anche la accoglienza del nuovo nato può avvenire tramite un percorso di conoscenza.

Un corso di preparazione al parto è utile per affrontare al meglio il travaglio e il parto, e per questo vengono insegnate delle tecniche per ridurre al minimo la sofferenza.

Ma il valore che desidero aggiungere all’insegnamento delle tecniche è una riflessione su che cosa significhi diventare genitori.

Non è dunque soltanto un corso per aiutare la donna a partorire, ma anche per affiancare i futuri genitori nella progettazione del nuovo ruolo che li attende.

L’angolazione di questo corso è psicologica: sono psicoterapeuta e affronterò gli argomenti prevalentemente dalla mia ottica.

Quello che non si conosce fa paura

 

Quello che non si conosce fa paura. La paura fa aumentare l’ansia e l’ansia ingenera tensione, anche muscolare. La tensione muscolare aumenta il dolore. In altre parole, l’ansia è considerato il primo anello di un circolo vizioso che si articola su tre elementi: paura – tensione – dolore.

Partendo da questo presupposto, gli incontri prevedono alcune nozioni sulla fisiologia della gravidanza e del parto e sui meccanismi neurofisiologici del dolore di parto.

Dobbiamo anche sapere come si svolge il travaglio, che cosa accade durante tutto il periodo e che cosa accede durante il parto. In questo modo è possibile smorzare la componente emotiva che può moltiplicare la percezione del dolore.

Non soltanto per partorire

 

Molti corsi di preparazione al parto seguono la gestante in tutte le fasi della gravidanza, fino al travaglio e alla nascita del bambino, dedicando poi poco spazio al ‘dopo’.

La stessa sproporzione si nota anche nei libri sull’argomento: anche i più accreditati e ben fatti si limitano a poche pagine piuttosto generiche sul ritorno a casa. Secondo la mia esperienza, invece, si tratta di un momento assai delicato, sia per la neo mamma, che per il marito e per la tenuta della coppia.

A mio avviso, molte situazioni, sbrigativamente liquidate come ‘depressioni da parto’, potrebbero essere evitate con una buona prevenzione. E, ancora una volta, ribadisco che per prevenire è necessario anzitutto conoscere ciò che sta avvenendo.

Per questa ragione, il corso dedica spazio al ritorno a casa e alle dinamiche psicologiche che si determinano dopo la nascita del bambino.

Il corso di preparazione alla nascita si pone l’obiettivo di preparare non soltanto all’evento fisiologico del parto, ma alla nascita, intesa come una festa, un momento forte nella vita della coppia.

Ed è alla coppia che mi rivolgo, chiedendo espressamente che il futuro padre sia presente agli incontri e, se possibile, anche al parto.

Ritengo che non solo il parto, ma la gravidanza prima e l’inserimento del bambino nel nuovo sistema, dopo, sono momenti di grande importanza e, se vengono ben affrontati, è possibile prevenire tanti problemi che spesso affiorano dopo la maternità (depressione, cattiva percezione dello schema corporeo da parte della donna, difficoltà di coppia, solo per citarne alcuni).

Il metodo RAT (Training Autogeno Respiratorio)

Il corso si articola in sette sedute, ciascuna ripartita in due momenti distinti. Nella prima parte dell’incontro vengono fornite informazioni circa i meccanismi fisiologici e psicologici del dolore, la gravidanza, il parto, il puerperio.

Sempre in questa prima parte di ciascuna seduta viene dedicato spazio alla discussione delle dinamiche psicologiche – personali e di coppia -dei futuri genitori.

Nella seconda parte dell’incontro si insegna la tecnica del RAT Attraverso una progressione di esercizi la gestante impara un tipo di rilassamento che investe sia la sfera fisica che quella psichica e di cui può giovarsi già in gravidanza.

Tale rilassamento verrà utilizzato durante il travaglio e il parto per renderne l’espletamento più rapido e meno doloroso.

E’ provato che la madre ben rilassata aiuta il suo bambino a nascere con minor trauma rispetto a quella tesa e spaventata.

Non ultimo, il fatto di apprendere una tecnica che può essere utilizzata in proprio, anche in assenza dell’operatore, dà alla futura madre un’autonomia e un senso di padronanza di sé nel momento in cui pone le basi del rapporto che la legherà al proprio figlio.

Contenuto dei sette incontri

 

Il corso di preparazione alla nascita si pone l’obiettivo di preparare non soltanto all’evento fisiologico del parto, ma alla nascita, intesa come una festa, un momento forte nella vita della coppia. Ed è alla coppia che mi rivolgo, chiedendo espressamente che il futuro padre sia presente agli incontri e, se possibile, anche al parto.

La la gravidanza prima e l’inserimento del bambino nel nuovo sistema, dopo, sono momenti di grande importanza e, se vengono ben affrontati, è possibile prevenire tanti problemi che spesso affiorano dopo la maternità (depressione, cattiva percezione dello schema corporeo da parte della donna, difficoltà di coppia, solo per citarne alcuni).

Tutto questo è possibile con il RAT.

Il corso si articola in sette sedute, ciascuna ripartita in due momenti distinti.

Nella prima parte dell’incontro vengono fornite informazioni circa i meccanismi fisiologici e psicologici del dolore, la gravidanza, il parto, il puerperio. Si parte infatti dal presupposto che ciò che non si conosce ingenera ansia e paura e che la paura è il primo anello della catena paura – tensione – dolore.

Nella seconda parte dell’incontro si insegna la tecnica del RAT.

Attraverso una progressione di esercizi la gestante impara un tipo di rilassamento che investe sia la sfera fisica che quella psichica e di cui può giovarsi già in gravidanza.

Tale rilassamento verrà utilizzato durante il travaglio e il parto per renderne l’espletamento più rapido e meno doloroso.

E’ provato che la madre ben rilassata aiuta il suo bambino a nascere con minor trauma rispetto a quella tesa e spaventata.

Non ultimo, il fatto di apprendere una tecnica che può essere utilizzata in proprio, anche in assenza dell’operatore, dà alla futura madre un’autonomia e un senso di padronanza di sé nel momento in cui pone le basi del rapporto che la legherà al proprio figlio.

Prima seduta

 

 

Conosciamoci. Storia personale della gestante e della coppia.
Presentazione del metodo
Tecniche di preparazione al parto
Presentazione per grandi linee del TRAINING AUTOGENO RESPIRATORIO (RAT) di Umberto Piscicelli, dei suoi presupposti teorici e degli obiettivi del metodo.
Gli esercizi RAT
L’atteggiamento psicologico
L’ambiente
Le posizioni
Svolgimento pratico del primo esercizio: Esercizio di rilassamento attivo e progressivo. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.

 

Seconda seduta

 

 

Psicologia della gravidanza e del parto
Il corpo che cambia: problemi psicologici per la donna e per la coppia.
Un fantasma tra noi
La sessualità in gravidanza
Svolgimento pratico del secondo esercizio: Esercizio dell’immaginazione e della immedesimazione unitaria del corpo. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.

 

Terza seduta

La vita quotidiana in gravidanza, tra paure e false convinzioni

I disturbi più comuni in gravidanza
Svolgimento pratico del terzo esercizio: Esercizio della commutazione autogena. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.

 

Quarta seduta

Il trauma della nascita

Il dolore di parto: aspetti neurofisiologico e aspetti psicosomatici
La medicalizzazione del parto
Il padre in sala parto
Svolgimento pratico del quarto esercizio: Esercizio del respiro autogeno. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.

 

Quinta seduta

 

Da coppia a triade
La figlia diventa madre, la madre diventa nonna: problematiche aperte nel conflitto generazionale
Ritorno a casa: aiuto, e adesso?
Se non ho latte non sono una brava mamma?
Svolgimento pratico del quinto esercizio: Esercizio delle risposte paradossali e dell’abitudine. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.

 

Sesta seduta

 

La depressione dopo il parto: un male necessario?
La ripresa della “normalità” dopo il parto
Separarsi dal bambino
Permettere al padre di vivere il proprio ruolo
Il post partum e il puerperio
Lasciarlo andare
Svolgimento pratico del sesto esercizio: Esercizio del condizionamento semantico. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.

 

Settima seduta

 

Ripasso delle fasi del travaglio.
Ripetizione – con esercitazione pratica – dei comportamenti da tenere durante le contrazioni e tra una contrazione e l’altra.
Simulazione della fase espulsiva e di come utilizzare il respiro e la spinta. Il futuro padre assiste, se lo desidera, allo svolgimento dell’esercizio perché possa essere parte attiva nell’esercitazione a casa.
Discussione e commenti sul vissuto dell’esercizio.
Letture utili
Nel web

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L’obiettivo è vivere con serenità una fase della vita ricca di emozioni, a volte contrastanti e arrivare preparati alla grande festa della nascita.

SIDS Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante

SIDS Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante

Conversazione con Samanta

 

Samanta ha perso il suo bambino a causa della Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante, e accetta di condividere la sua esperienza.

Samanta era una donna appagata. Aveva uno splendido bambino, Niccolò, di quattro anni, un matrimonio sereno, una professione che amava. Insieme al marito decise di avere un secondo figlio, e questo suo desiderio diventò ben presto realtà.

Iniziò una nuova gravidanza, molto serena, che venne portata a termine senza alcun problema. Alla fine del nono mese nacque il piccolo Lorenzo, con un parto cesareo. Il bimbo era sano, Samanta era felice e contava le ore che la separavano dal momento in cui sarebbe tornata a casa e Niccolò avrebbe finalmente conosciuto il nuovo nato.

La sera del suo secondo giorno di vita, Lorenzo venne portato nella stanza della mamma per la poppata e poi riportato nella nursery, Samanta si addormentò serena. Alle tre di notte venne svegliata dai medici, la sua stanza all’improvviso si riempì di persone, la voce del pediatra le riecheggia ancora nelle orecchie: “C’è stato un problema, il bambino, purtroppo è deceduto”.

Si chiama SIDSSindrome della Morte Improvvisa del Lattante, dietro questa sigla, dietro le gelide, forse imbarazzate parole del pediatra, inizia l’elaborazione di un dolore terribile.

Samanta e il marito chiedono aiuto, vogliono fortemente che la loro famiglia continui a vivere. Per Samanta continuare a vivere significa anche far sì che la sua sofferenza non sia inutile e decide di parlarne, nella speranza di aiutare altri genitori che si trovano in situazioni analoghe. È anche per questa ragione che Samanta accetta di rispondere alle mie domande e mi autorizza a pubblicarle sul sito. Di questo la ringrazio di cuore.

Appena tornata a casa, non so con quale coraggio, mi sono messa al computer, non sapevo neanche cosa fosse la SIDS, l’ho cercata col motore di ricerca ed ho trovato l’indirizzo di un’Associazione di genitori che come noi aveva perso un bambino per la SIDS. Ho preso contatto e lasciato il mio numero di telefono e sono stata contattata immediatamente. Ho anche cercato, sempre su Internet, una terapeuta che si occupasse dell’elaborazione del lutto nella mia città, l’ho chiamata e ho preso subito un appuntamento.

In una sua recente intervista su Repubblica lei accenna alla depressione di cui soffrì nel passato. Dopo la morte di Lorenzo ne ha sofferto di nuovo, o ha avuto timore di soffrirne?

Sì, nel passato ebbi un episodio depressivo in seguito alla separazione dei miei genitori. L’eventualità di una ricaduta era la mia paura più grande, e non solo mia, ma di tutta la mia famiglia che già in passato si è trovata con me a dover affrontare questo problema, ma questa volta non è successo. Io credo sia dipeso da diversi fattori; anzitutto in questa occasione non ho bloccato le mie emozioni, come avevo fatto allora, ma con l’aiuto e l’appoggio di tante persone ho avuto modo di tirar fuori tutta la mia sofferenza. Dopo la morte di Lorenzo, non avevo motivo di nascondere il dolore, come invece era stato per la separazione dei miei genitori, e sentirmi libera di esprimere ciò che sentivo dentro ha fatto sì che il dolore non si incanalasse nella depressione.
E poi questa volta non ero sola col mio dolore, avevo mio marito e soprattutto il mio piccolo Niccolò che con la sua gioia di vivere mi ha dato tutti i motivi del mondo per andare avanti.

Al di là delle comprensibili e dolorosissime ricadute negative sulla coppia, vi sono, e se sì, quali, delle ricadute positive nella relazione tra lei e suo marito, dopo questo lutto?

Quando abbiamo iniziato ad andare dalla terapeuta lei subito ci parlò del rischio di una eventuale separazione in tragedie simili alla nostra, ma si accorse ben presto che non era il nostro caso. In questi mesi ho capito più che mai che mio marito è l’uomo che vorrei accanto per tutta la vita, perché se siamo riusciti a rimanere insieme in una situazione difficile come questa, credo che lo rimarremo per sempre. Ora cerchiamo di goderci le piccole cose, di parlare di più e soprattutto di concentrare tutto sulla nostra famiglia perché adesso è solo quella che conta, i problemi della vita quotidiana ora cerchiamo di sdrammatizzarli molto.

Come avete affrontato il problema con il vostro primogenito?

In un primo momento, per istinto di protezione abbiamo evitato di parlare con Niccolò di quello che era accaduto a Lorenzo. Abbiamo fatto sparire da casa tutte le sue cose, i pannolini, i vestitini, la culla, la carrozzina e non ne abbiamo più parlato. Ma Niccolò continuava a chiedermi dov’era Lorenzo, se era uscito o no dalla mia pancia e perché non era arrivato a casa e io gli rispondevo che Lorenzo era volato in cielo ma lui non capiva, mi chiedeva se c’era andato con l’aereo per andare in vacanza e quando sarebbe tornato. Parlando con i genitori dell’Associazione e con la terapeuta, ho capito che Niccolò aveva diritto ad una spiegazione, doveva capire dov’era Lorenzo perché il rischio era che nella sua piccola testa i pensieri potessero trasformarsi in incubi, in fantasmi, e che era meglio affrontare la situazione da subito. Così mi sono fatta coraggio, ho mostrato a Niccolò una foto di Lorenzo, abbiamo parlato, gli ho detto che il suo fratellino era nato, ma che stava male, un male che però a Niccolò non poteva succedere perché lui ormai era grande, che era morto,che era stato portato in un grande giardino pieno di alberi e fiori e che una volta ci saremmo andati in questo posto a portargli dei fiori. Gli ho fatto toccare le mie lacrime, gli ho detto che ero tanto triste ma che lui non doveva spaventarsi per questo che poi pian piano sarei stata meglio, che gli volevo tanto bene e che ero contenta che ci fosse lui con me. Poi abbiamo messo insieme la foto di Lorenzo all’ingresso e ogni tanto andiamo a riguardarcela insieme. Da quel giorno Niccolò parla con tranquillità del suo fratellino e mostra la sua foto a chi viene a trovarci a casa.

La coppia che si trova di fronte a un evento così drammatico è spesso circondata da persone, parenti o amici, che voglio “aiutare”. E’ successo anche a voi?

Per quanto riguarda il mio vissuto, ho sperimentato la sensazione di una barriera con le persone, il fatto che tutti cerchino sempre per forza di consolarti, di dirti che devi farti coraggio, che non devi piangere, che tutto passerà presto perché il tempo cancella tutto. Secondo me sono le frasi più sbagliate del mondo da dire a chi soffre in quel momento e avrebbe invece solo voglia di piangere e di sfogarsi. Penso che potrebbe essere utile far riflettere chi sta accanto ad una persona che sta male per un lutto. Io credo che anche i familiari e gli amici abbiano bisogno di aiuto su come star vicino a chi ne ha bisogno, a non aver paura di confrontarsi col suo dolore ma di aiutarlo nel suo percorso di elaborazione, non di negazione.

Un momento difficile dopo ogni parto è il recupero di un’immagine corporea soddisfacente. Spesso la neo mamma non ritrova la propria avvenenza, ma è in qualche modo “ricompensata” dalle emozioni che il bambino le dà. Lei Samanta è una bella donna e il corpo è in un certo senso il suo “strumento di lavoro”, poiché lavora in palestra. Come ha affrontato il problema del recupero del suo sé corporeo?

All’inizio è stata davvero dura. Tutto del mio corpo mi ricordava continuamente che avevo appena partorito, ma mio figlio non era con me. Il mese successivo al parto poi ho dovuto subire un intervento alle vene che mi ha costretto a rimanere ferma per altro tempo. Rientrare in una sala operatoria dopo il parto cesareo è stata una prova durissima, mi sono sentita davvero male, è stato come riaffrontare il parto. Mentre mi operavano piangevo disperata, mentre mio marito mi stringeva la mano e si sentiva male anche lui, tanto che è dovuto uscire dalla stanza. Qualche mese dopo poi ho deciso di sottopormi ad un intervento di addomino plastica a causa di un cedimento della parete addominale che era già avvenuto col parto di Niccolò. È stata un’altra prova durissima, un intervento molto invasivo con un lungo periodo di degenza, non so dove ho trovato la forza, ma adesso il mio corpo è tornato a posto, ho ripreso ad allenarmi e a lavorare. Quando mi guardo allo specchio ora vedo il corpo di una donna che può avere ancora figli e non di una neo mamma senza il suo bimbo.

Secondo alcuni studiosi la depressione trarrebbe origine da un lutto non elaborato correttamente. Sente questa affermazione vera per la sua precedente depressione, e in che modo ha lavorato e sta lavorando perché ciò non si determini oggi?

Quando i miei genitori si separarono all’improvviso avevo 18 anni e mi dissero che dovevo capire, che ormai ero grande, che dovevo farmi forza, per loro era giusto così e basta. Io quindi non versai quasi neanche una lacrima, mi tenevo tutto dentro, pensavo davvero di aver capito e che non c’era nessun problema, anche se mio padre aveva un’altra donna e mia madre piangeva. Poi a distanza di due tre anni, all’improvviso ho iniziato a star male, a piangere, a non mangiare, non dormire, a non aver più voglia di fare nulla, ma nessuno capiva cosa avessi. La mia vita per tutti era perfetta, non avevo motivi per lamentarmi. Evidentemente invece qualcosa di grave che non andava c’era, era qualcosa che da tempo mi portavo dentro, che ogni giorno cresceva ma di cui io non parlavo a nessuno, neanche a me stessa. C’è voluto diverso tempo per capire quale fosse il problema, anni di terapie, di farmaci antidepressivi, ma questa volta no, non ci sono cascata, non ho ripetuto l’errore di tenermi tutto dentro, ho affrontato da subito il problema, già a poche ore dall’accaduto. Ero terrorizzata all’idea di crollare, perché questa volta non ero sola ma avevo un bambino meraviglioso da crescere e non volevo essere una mamma depressa.

A questo proposito, voglio ribadire ancora una volta l’importanza di aver avuto accanto a noi persone esperte, in grado di farci comprendere che il lutto passa attraverso varie fasi e che la cosiddetta “elaborazione del lutto” è un processo necessario, seppur doloroso.

All’inizio la disperazione è totale, sembra di sprofondare, c’è stato un crollo iniziale, quando non pensavo che alla disperazione. Poi queste sensazioni sono evolute, perchè nel sito dell’associazione parliamo spesso di questi argomenti, delle varie fasi che accompagnano l’elaborazione del lutto, e anche se poi ognuno di noi ha reagito in maniera differente, un pò tutti abbiamo riconosciuto di essere passati attraverso delle fasi comuni, e addirittura un genitore ultimamente le ha anche raccolte in una mail che ha poi spedito a tutti.

Spero tanto che rendere pubblica la mia esperienza possa servire a qualcuno per capire che non si starà sempre male allo stesso modo.

Una teoria psicologica molto interessante, la Logoterapia, ritiene che alla base di tante forme depressive ci sia una mancanza di significato, di “senso” della propria vita e della propria sofferenza. Dare un senso alla sua sofferenza è un suo obiettivo, allo stato attuale? E attraverso quali percorsi lo sta realizzando?

Quando ho conosciuto le famiglie che come noi avevano perso un bambino, ho notato in loro una grande forza che li sosteneva, pur continuando a convivere col dolore. All’inizio non capivo come avessero fatto, parlavo continuamente con loro proprio per capire dove fosse la loro “forza”. Poi ho capito che nessuno di loro si era fermato, avevano pianto si erano disperati, ma non si erano fermati. Ciascuno col proprio percorso così diverso, ma tutti uniti da un vissuto comune, e con la voglia di andare avanti.

Così anche io sto cercando di trovare il mio “senso” a quello che è successo, non un senso metafisico al quale non saprei dare una risposta, ma un senso umano.

Non voglio che il dolore per la perdita di Lorenzo porti negatività, non voglio ricordarlo come l’evento peggiore della mia vita, perché lui era mio figlio, un bambino bellissimo, e un figlio deve significare gioia nella vita di una madre e non essere una maledizione. Ma io non posso esprimere a lui direttamente questa gioia, non ce l’ho più tra le mie braccia, non lo posso baciare e riempire di attenzioni, allora come posso fare per non pensare solo al male che ho dentro e che mi lacera ogni volta che penso a lui? Io posso solo parlare di lui, di come sto cercando di affrontare la vita senza di lui, e di come la vita possa lo stesso valer la pena di essere vissuta per tutte le persone che ho accanto e che hanno un enorme valore perché le amo e voglio passare ancora tanti bei momenti con loro. Non dico queste parole come un’eroina, ma con gli occhi pieni di lacrime e lo stomaco contratto dal dolore, ma sto cercando di mettercela davvero tutta per andare avanti. Non sto affrontando tutto questo da sola, molte persone mi stanno aiutando e se io nel mio piccolo potrò aiutare qualcuno altro con le mie parole, ecco questo sarà il mio “senso “ per Lorenzo che non c’è più.

La culla vuota. Quando il bambino muore prima di nascere

La culla vuota. Quando il bambino muore prima di nascere

Il test di gravidanza risulta positivo: è la prima grande emozione del percorso che si concluderà con nascita di un figlio.

Compaiono i primi segni fisici, si programma il calendario dei controlli medici. E poi si manifestano le ansie, le emozioni, e anche i conflitti interiori: lo voglio davvero, sarò in grado di essere madre, la mia vita non sarà più come prima…

 

Poi, per la prima volta, si entra davvero in contatto con lui, quando il ginecologo fa sentire il battito del suo cuore, e l’ecografia mostra il minuscolo essere umano.

Tra alti e bassi, conflitti e paure, emozioni e gioie intense, ci si aspetta che la gravidanza si concluda con la nascita del bambino. Purtroppo non sempre è così. A volte, qualcosa inceppa il meccanismo perfetto della vita che cresce, e il bambino muore.

 

Il lutto perinatale

 

In termini medici, la morte del bambino dalla ventisettesima settimana di gestazione fino alla prima settimana dopo il parto viene definita lutto perinatale. Tuttavia, anche la morte in epoca antecedente, fin dalle prime settimane di gestazione, comporta un senso di perdita e di dolore, un vero lutto.

Che cosa si prova

La morte del bambino in utero, o immediatamente dopo la nascita, è una tragedia, e l’intensità dei sentimenti provati, la durata del lutto e i vissuti ad esso correlati sono del tutto paragonabili a ciò che si prova quando muore una persona adulta. Tuttavia, questo dolore non sempre viene riconosciuto, al contrario, il mondo esterno tende a minimizzarlo, o comunque a non comprenderne la reale portata. Sicché la mamma in lutto, la coppia in lutto, provano innanzi tutto un senso di solitudine. Frasi dette con l’intento di consolare possono far male, e non aiutano affatto: ne avrete presto un altro, è più doloroso perdere un figlio in età più avanzata, una nuova gravidanza è l’unica medicina…

Purtroppo, anche chi dovrebbe aiutare per professione non sempre è preparato a farlo. Medici o psicologici, che non abbiano avuto una preparazione specifica su come trattare gli aspetti psicologici del lutto perinatale, talora non danno il giusto supporto, magari perché loro stessi non hanno affrontato personalmente il problema della morte. 

Quale che sia la causa della morte, quasi tutte le madri, nella prima fase del lutto provano un senso di colpa, del tutto ingiustificato a livello razionale, ma molto doloroso e difficile da estirpare, proprio perché non appartiene alla sfera razionale: avrei dovuto riposarmi di più, non avrei dovuto lavorare, ho scelto il ginecologo, o l’ospedale sbagliato, se avessi fatto quell’analisi in più …

A questi sentimenti, si aggiunge la difficoltà a relazionarsi con le persone. Si fatica a rispondere a coloro che non sanno e fanno domande inopportune: allora, è nato?, a chi alimenta il dolore con commenti inadeguati, a chi i figli li ha e non smette di parlarne, rinnovando il senso di vuoto e di inadeguatezza della mamma mancata.

Che fare


Disperazione, solitudine, senso di colpa, difficoltà a relazionarsi con le persone
 sono tra i sentimenti che più spesso vengono riferiti dalle coppie che hanno appena perso il loro bambino. Che cosa si può fare per uscirne?

Ciascuna persona è unica e vive il suo dolore a proprio modo, tuttavia, vi sono alcune indicazioni che si rivelano utili per la maggior parte delle mamme e delle coppie in lutto e vale la pena di elencarle:

Accettare il fatto di essere in lutto

Quale che sia l’epoca gestazionale in cui il bimbo muore, che sia appena un embrione, o un bambino morto poco dopo la nascita, la sua perdita è una tragedia. Non serve ignorare questa realtà, né cercare di “essere forte”. Il lutto va vissuto, elaborato e, solo alla fine del processo di elaborazione, lo si può accettare, mettendo in atto un adattamento sano, che consenta di andare avanti nel percorso di vita. Questo processo varia da persona a persona, può essere più o meno lungo, in genere dura dai sei mesi ai due anni.

 

Coltivare il lutto per “quel bambino”

 

Anche il bambino mai nato, mai realmente conosciuto, è già perfettamente inserito nel contesto genitoriale e familiare. I genitori non piangono un bambino, ma “quel” bambino, che, a livello di fantasia, ha già un posto importante nel loro cuore e nella loro vita.
Non serve cercare di cancellarlo, né di sostituirlo con la fantasia di un altro bambino. Quel bambino ha già il suo posto e vi rimarrà per sempre: l’elaborazione del lutto permette di smorzare l’intensità del dolore, non a cancellarne il ricordo.

 

Dare parole al dolore

 

Il dolore va espresso, soffocarlo non aiuta, al contrario, peggiora la situazione. È necessario esprimere ciò che si prova, senza il timore di apparire deboli, o fragili, o inadeguati. Nella nostra cultura siamo così poco abituati a esprimere il dolore per un figlio non nato, che non esistono nemmeno le parole per descriverlo, e il tabu che spesso avvolge la morte nel silenzio diventa ancora più resistente quando la morte riguarda un bambino non nato. Sicché il silenzio si tramuta spesso in una barriera che separa dal mondo esterno, e, nello stesso tempo, in un guscio illusoriamente protettivo. Rompere questo silenzio fa bene, a patto che siano i protagonisti a farlo, nei modi e nei tempi che sentono più consoni.

 

Riconoscere le proprie necessità e assecondarle

 

C’è chi, dopo la morte del bambino, vuole riprendere al più presto la vita di prima, chi si chiude nel proprio dolore. C’è chi ha bisogno di “sapere” e indaga su tutti gli eventi che hanno preceduto la tragedia, con l’intento di trovarne le cause, chi, invece, preferisce non chiedersi troppi perché. 
L’elenco potrebbe continuare: ciascuno soffre a proprio modo. Ciascuno dovrebbe fare ciò che ritiene più vicino al proprio sentire, con una importante raccomandazione: è necessario individuare quello che vogliamo davvero e non quello che crediamo che gli altri si aspettino da noi. Non importa se siamo sempre stati considerati forti. Concediamoci il permesso di essere deboli, fragili, inadeguati.

 

Comunicare, condividere, confrontarsi

 

Nei momenti più dolorosi sembra che solo chi ha vissuto la nostra stessa esperienza possa comprenderci, e in parte è così. Molte persone traggono giovamento dai gruppi di auto aiuto, dove afferiscono persone che condividono la stessa esperienza, ed è provato che tali gruppi sono molto efficaci. L’avvento di Internet ha facilitato questo processo, e molti gruppi virtuali raccolgono persone geograficamente lontane tra loro, ma vicine nell’esperienza della perdita.
Che si scelga un gruppo strutturato, o semplicemente che ci si avvicini ad amici o conoscenti che hanno vissuto la medesima esperienza, la condivisione e il confronto sono senz’altro molto utili.

Può essere molto conosolante ed efficace conoscere l’associazione Ciao Lapo, fondata da due genitori, medici, che si sono trovati psicologicamente soli nell’esperienza della perdita del loro secondo bambino. Ciao Lapo è anche un sito, www.ciaolapo.it, sede di una comunità virtuale, un “non luogo” dove tutti hanno diritto di parola. Vale la pena di visitarlo: di sicuro aiuta a sentirsi meno soli.

 

Evitare le persone e le situazioni che creano disagio

 

Come abbiamo visto, non tutte le persone che fanno parte dell’ambiente sociale della coppia sono veramente adatte a sostenerla nel momento del dolore. Alcune persone si possono rivelare addirittura dannose. Siano estranei, o familiari, è il caso di individuarli e prendere consapevolezza che – al momento – possono peggiorare la situazione. Se ci si sente a disagio con loro, è opportunoproteggersi, anche dicendo chiaramente che non desideriamo parlare dell’argomento.
Anche alcune situazioni possono aumentare il disagio: ad esempio andare a trovare coppie che hanno appena avuto un figlio. Meglio declinare l’invito con fermezza e gentilezza, che sottoporsi a sofferenze che peggiorino una situazione già pesante.

 

Documentarsi… ma non troppo

 

Dopo aver vissuto un dramma, è naturale chiedersi come sia potuto accadere e raccogliere tutte le informazioni utili affinché non si ripeta in futuro. Ci si rivolge sempre più spesso alla Rete: una vera e propria miniera di dati, spesso provenienti da fonti autorevoli. Tuttavia, va evitato l’eccesso di informazioni, soprattutto se non sono filtrate da una adeguata conoscenza medica: nei momenti difragilità non fanno che aumentare l’ansia e la confusione. È meglio affidarsi alla struttura medica che prenderà in carico la prossima gravidanza: ad essa va demandato il compito di elaborare una rigorosa strategia di informazione e di prevenzione.

 

Ridare un senso alla coppia

 

Per quanto la coppia possa essere stata unita nel progetto di mettere al mondo un figlio e anche nel lutto che ha posto fine a tale progetto, la modalità di vivere il dolore può essere differente. È innegabile che è la donna a vivere nel suo corpo i segni della gravidanza e anche la lacerazione della morte, e il compagno deve cercare di comprendere anche atteggiamenti apparentemente incomprensibili, o, comunque, diversi da quanto si sarebbe aspettato dalla propria partner. 
In questa fase così delicata della vita di coppia, può essere davvero importante investire tutte le energie proprio nella coppia stessa. Prima di pensare a una nuova gravidanza, è necessario ridare un senso allo stare assieme, alla condivisione delle esperienze, e alla sessualità vissuta come ricerca di intimità fine a se stessa, slegata dal progetto procreativo.

 

Progettare la prossima gravidanza non come una terapia, ma come un percorso nuovo

 

Sebbene tutte le persone intorno alla coppia non facciano che ripetere che un altro figlio “rimetterà le cose a posto”, bisogna evitare di considerare la prossima gravidanza come una terapia, né pensare che cancelli miracolosamente il dolore. 
È consigliabile progettare la nuova gravidanza quando il corpo è pronto ad accoglierla – e questo lo valuterà il medico – ma quando anche la psiche lo è. Solo dopo aver realmente superato il lutto, si può affrontare serenamente il nuovo progetto. Un aiuto professionale può rivelarsi molto efficace per affrontare al meglio una scelta così importante.

 

Chiedere aiuto

 

Ci sono momenti della vita in cui è difficile farcela da soli e l’isolamento che si rischia può far soffrire anche di più. Bisogna chiedere aiuto e chiederlo alle persone giuste. Che si decida di ricorrere a un sostegno professionale o meno, le persone che ci possono aiutare devono avere una sufficiente conoscenza del problema, possedere doti di accoglienza e di partecipazione, saper ascoltare senza elargire consigli non richiesti.

 

La nuova gravidanza

 

È innegabile che il vissuto della precedente esperienza luttuosa avrà un peso sulla nuova gravidanza, ma bisogna fare il possibile per ridurlo al minimo.
Innanzi tutto, occorre cercare di chiarire, per quanto possibile, le cause della morte del precedente bambino, e solo una struttura ospedaliera accreditata può accertarle.
La stessa struttura saprà indicare tutto ciò che va messo in pratica per prevenire un evento analogo.
Una volta fatto tutto il possibile a favore di una corretta prevenzione, bisogna saper voltare pagina e vivere al presente. Il prossimo bambino non sarà una copia di colui che non è nato. Così la nuova gravidanza non sarà una copia della precedente.