’attacco di panico arriva all’improvviso e da quel momento niente è più come prima.

Chi lo ha sperimentato in prima persona – o ha assistito qualcuno  – ha di sicuro notato che l’esperienza del panico mette in moto una serie di tentativi di soluzione, non tutti utili, alcuni decisamente controproducenti.

Vediamo quali tentate soluzioni mette in atto chi cerca di affrontare il panico.

 

Di fronte a un evento che provoca tanta angoscia, il primo passo la ricerca di una causa.

Si tratta di una decisione corretta: è giusto poter disporre di una diagnosi differenziale per escludere che alla base del disturbo vi sia una causa organica.

Di norma, il medico prescrive gli accertamenti per escludere le patologie che potrebbero dar luogo a sintomi assimilabili all’attacco di panico.

Nella maggior parte dei casi, i risultati delle indagini sono negativi e la sentenza del medico è disorientante:

“Si è trattato di un attacco di panico, il male è solo nella sua testa”

 

Invece di rassicurare, questa affermazione può dar luogo ad atteggiamenti e comportamenti non sempre funzionali al ripristino del benessere.

Per molte persone, infatti, è più accettabile avere un malanno “reale” che un disagio psicologico.

Che fare dunque?

 

Il giro dei dottori

 

Dopo una prima rassicurazione, sorge un dubbio: “il medico di base può aver sbagliato, occorre sentire uno specialista!”

Inizia così il giro dei dottori, per escludere una causa “vera”, più spesso nella speranza di trovarla.

Più volte i miei pazienti mi hanno detto: “Questo male misterioso mi disorienta e mi spaventa. Vorrei poter avere una malattia reale, con una terapia ben definita”.

Si chiede dunque il parere del cardiologo, del gastroenterologo, del neurologo e l’elenco può continuare.

Ogni specialista dirà la sua, rassicurerà per un po’, ma il prossimo attacco rimetterà tutto in discussione e il girotondo ricomincerà…

 

La condotta di evitamento

 

La prima volta è successo in metropolitana? Forse la “colpa” è di quel mezzo. Meglio evitare, posso usare l’auto.

E se la volta successiva accade in banca? O all’ufficio postale?

Attribuire al luogo o alla circostanza la responsabilità di aver provocato il panico avrà come conseguenza di rendere il mondo sempre più piccolo, perché tanti, troppi, saranno i luoghi e le circostanze interdetti.

Di solito si evitano i luoghi chiusi (claustrofobia), o affollati (agorafobia).

Sarà sempre più una vita costellata di “vorrei, ma non posso”, ma il problema non si risolverà.

L’atteggiamento evitante peggiora la situazione invece di risolverla.

 

Trovare un accompagnatore

 

Una presenza amica rassicura ed è tanto più vero se sei in preda all’ansia.

C’è sempre qualcuno che, in perfetta buona fede, per affetto, ti può accompagnare nei luoghi che temi e sostenere in quelle circostanze che prima affrontavi in piena autonomia e oggi ti mettono apprensione.

La persona cara assumere il ruolo di accompagnatore, per propria scelta, o perché le viene espressamente richiesto.

E’ un vero aiuto? No, non lo è.

Si crea un legame non sano con l’accompagnatore che diventa vittima “mi devo sacrificare per accompagnarti”, ma anche carnefice dal momento che impedisce a chi gli si affida di evolvere verso la guarigione.

Questo legame disfunzionale ha come conseguenza la perdita dell’autonomia, il calo dell’autostima, un rapporto di dipendenza che genera un circolo vizioso difficile da spezzare.

 

Il controllo

 

L’attacco d’ansia è di per sé una perdita di controllo: più cerchiamo di controllarci e più ci rendiamo conto che è impossibile, sicché la paura e l’ansia aumentano sempre iù.

Il tentativo di controllo è un altro degli atteggiamenti non funzionali.

Basti pensare a una persona che in acqua ha il terrore di annegare: metterà in atto tutti i movimenti scomposti che la faranno annegare davvero.

Calmandosi, galleggerebbe.

La stessa cosa avviene con il panico. Ci sono tante tecniche e strategie per calmarsi durante un attacco e imparare a prevenire il panico.

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