

Come scegliere lo Psicoterapeuta
Scegliere di incontrare uno Psicologo o uno Psicoterapeuta è già un primo passo nel prendersi cura di sé, per ritrovare o mantenere il proprio benessere psicologico, per decidere di smettere di soffrire a causa un disagio che magari si protrae da tempo.
Una volta deciso di rivolgersi a uno specialista, come trovare quello adatto?
Innanzi tutto, è utile avere le idee chiare su chi sono i professionisti del Benessere psicologico e sulle diverse competenze: una breve descrizione si può leggere qui.
Nel caso si decida di incontrare uno Psicoterapeuta, va tenuto innanzi tutto presente che esistono molte scuole di psicoterapia, diverse tra loro per le teorie cui fanno riferimento e per i metodi che utilizzano.
Ciascun terapeuta ha scelto di approfondire un approccio piuttosto che un altro, sulla base delle proprie convinzioni e delle proprie caratteristiche personali. Anche il paziente dovrebbe poter scegliere consapevolmente.
Prima di intraprendere una psicoterapia è opportuno farsi un’idea di quale approccio teorico si sente più vicino alla proprie idee e più adatto al proprio problema.
Per avere qualche informazione sulle diverse scuole di psicoterapia si può leggere qualcosa. Già questo potrebbe essere il primo atteggiamento “attivo” per prendersi cura di sé e per affrontare con spirito libero e critico la relazione con lo psicoterapeuta.
E’ consigliabile informarsi prima di scegliere, perché la terapia sia fin dall’inizio una scelta ragionata e attiva da parte del paziente, piuttosto che un affidarsi passivo ad un professionista, magari perché “se ne è sentito parlare bene”.
In altre parole, bisognerebbe poter rispondere non solo a domande come “il terapeuta in questione è serio, onesto e affidabile?”, ma anche “quali principi ispirano il suo lavoro?” e “i suoi principi sono compatibili con il mio modo di sentire”? Molti terapeuti descrivono il proprio approccio teorico sui propri siti o blog, in ogni caso, tutti sono tenuti a rispondere alle domande dei potenziali pazienti riguardo i principi che ispirano il loro lavoro.
Quale che sia l’orientamento teorico e metodologico scelto, è bene che il paziente sappia quali requisiti deve avere lo psicoterapeuta. Il “Decalogo dello psicoterapeuta“, consigliato dall’Ordine Nazionale degli Psicologi può costituire una guida ad orientarsi nella scelta.
Il primo colloquio fornirà poi gli elementi per la valutazione e l’eventuale scelta.

Il decalogo dello psicoterapeuta
Come scegliere lo psicoterapeuta?
Esistono molte scuole di psicoterapia, diverse tra loro per le teorie cui fanno riferimento e per i metodi che utilizzano.
Ciascun terapeuta ha scelto di approfondire un approccio piuttosto che un altro, sulla base delle proprie convinzioni e delle proprie caratteristiche personali. Anche il paziente dovrebbe poter scegliere consapevolmente.
Prima di intraprendere una psicoterapia è opportuno farsi un’idea di quale approccio teorico si sente più vicino alla proprie idee e più adatto al proprio problema.
E’ consigliabile informarsi prima di scegliere, perché la terapia sia fin dall’inizio una scelta ragionata e attiva da parte del paziente, piuttosto che un affidarsi passivo ad un professionista, magari perché “se ne è sentito parlare bene”.
In altre parole, bisognerebbe poter rispondere non solo a domande come “il terapeuta in questione è serio, onesto e affidabile?”, ma anche “quali principi ispirano il suo lavoro?” e “sono compatibili con il mio modo di sentire”?
Per avere qualche informazione sulle diverse scuole di psicoterapia si può leggere qualcosa. Già questo potrebbe essere il primo atteggiamento “attivo” per prendersi cura di sé e per affrontare con spirito libero e critico la relazione con lo psicoterapeuta.
Quale che sia l’orientamento teorico e metodologico del terapeuta scelto, è bene che il paziente sappia quali requisiti deve avere lo psicoterapeuta. Le affermazioni che seguono riprendono e ampliano il “Decalogo dello psicoterapeuta” consigliato dall’Ordine Nazionale degli Psicologi e possono costituire un aiuto ad orientarsi nella scelta.
Decalogo
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- Il terapeuta deve essere iscritto all’Albo degli Psicologi ed essere abilitato all’esercizio della psicoterapia, cioè deve essere inserito nello speciale Elenco degli Psicoterapeuti. Si può verificare qui.
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- Qualora lo psicoterapeuta fornisca consulenze on line, deve attenersi alle Linee guida fornite dall’Ordine degli Psicologi per le prestazioni via Internet a distanza.
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- Il terapeuta deve illustrare le teorie cui fa riferimento e le tecniche che utilizza.
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- Deve comunicare con chiarezza le modalità della relazione: durata delle sedute, numero di incontri settimanali previsti, durata indicativa dell’intera terapia, orari in cui può eventualmente essere reperito al telefono, possibilità o meno di inviare email o messaggi tra un incontro e l’altro..
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- Se si tratta di un libero professionista, deve indicare il suo onorario.
Egli può tener conto della sua preparazione ed esperienza, ma anche delle condizioni economiche del paziente.
Il terapeuta ha l’obbligo di rilasciare la ricevuta fiscale per la propria prestazione. Il paziente può ottenere così il rimborso dalla propria Assicurazione, se ne ha una, e comunque la detrazione fiscale nella misura del 19%.
E’ opportuno anche accordarsi fin dall’inizio su come regolarsi in caso di appuntamenti mancati.
- Se si tratta di un libero professionista, deve indicare il suo onorario.
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- Il terapeuta deve stabilire con chiarezza gli obiettivi della terapia.
Formulare obiettivi significa poter rispondere alla domanda: “Da che cosa mi accorgerò che la terapia sta funzionando?”
Non sono utili risposte generiche, del tipo “starò meglio”, ma risposte concrete ed oggettivabili, ad esempio “non avrò più paura di guidare l’auto” (se la fobia dell’auto è il sintomo per il quale si richiede l’intervento terapeutico).
Un buon modo di procedere potrebbe consistere nello stabilire valutazioni intermedie degli obiettivi raggiunti.
- Il terapeuta deve stabilire con chiarezza gli obiettivi della terapia.
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- Il terapeuta deve valutare con il paziente i progressi della terapia e quest’ultimo ha il diritto di interromperla se non riscontra risultati.
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- Il terapeuta è obbligato al segreto professionale.
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- Con il terapeuta non si instaurano rapporti di amicizia. Non si intraprende una terapia con terapeuti amici.
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- Il terapeuta non propone né accetta affari economici, né accetta compensi diversi da quelli pattuiti.
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- Chi richiede al servizio pubblico lo psicologo, può rifiutare il colloquio con lo psichiatra o l’assistente sociale.
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- Non si può prescindere dal fatto che la psicoterapia è anzitutto un rapporto umano, pertanto bisognerebbe sentirsi a proprio agio, avere la sensazione che il terapeuta comunichi autorevolezza, ma anche interesse autentico per il paziente, e che dia la sensazione che ci si possa fidare di lui o di lei.

Il primo colloquio con lo psicoterapeuta
La decisione di incontrare uno psicoterapeuta non sempre è semplice, qualche volta è sofferta e richiede un lungo periodo di riflessione.
Occorre prendere atto che stiamo attraversando un momento difficile, che abbiamo bisogno di aiuto e quello di amici e persone care non basta.
A volte è necessario superare pregiudizi duri a morire: “non vado dal dottore dei matti, posso benissimo cavarmela per conto mio, la terapia dura tanto tempo e non posso permettermela”, e tanti altri di questo genere.
Infine, bisogna trovare il professionista giusto, tra le moltissime offerte che troviamo nel web o grazie ai suggerimenti di amici e parenti.
Leggi anche: Come scegliere lo Psicoterapeuta
Una volta deciso di dedicare del tempo a se stessi e scelto il professionista, viene il momento di fissare il primo colloquio.
Ogni terapeuta ha il suo stile e le sue teorie di riferimento e su tali basi conduce il primo incontro e quelli successivi.
Nelle righe che seguono illustro il mio modo di procedere.
Che cosa succede durante il primo incontro?
In linea di massima, il primo colloquio serve per conoscersi e valutare assieme se e come si può intraprendere un percorso.
Si tratta di un incontro importante, in cui chi arriva al mio studio illustra la ragione per cui si chiede aiuto, si presenta, racconta per grandi linee la sua storia.
Io intervengo ponendo domande, per di farmi un’idea il più possibile precisa della persona che ho davanti.
Anche io mi presento e illustro le teorie cui faccio riferimento e le tecniche che utilizzo.
Comunico le modalità della relazione: durata delle sedute, onorario, numero di incontri settimanali previsti, durata indicativa dell’intera terapia, orari in cui posso eventualmente essere reperita al telefono.
Personalmente, utilizzo volentieri gli sms o i messaggi su Whatsapp, dal momento che durante le sedute non rispondo al telefono.
Alcuni colleghi sono contrari all’utilizzo dei messaggi e preferiscono parlare a voce in orari dedicati.
Sulla base delle informazioni scambiate e delle impressioni che ciascuno ha dell’altro, ci si sceglie e si pongono le basi dell’alleanza terapeutica che caratterizza un buon percorso. Per questo il primo colloquio, a mio avviso, è assai importante.
Proprio per rendere tale scelta più ponderata, personalmente, non fisso subito un secondo appuntamento, ma invito il paziente a riflettere per qualche giorno prima di decidere se richiedere un nuovo appuntamento.
Il secondo incontro
Se il paziente richiama, vuol dire che è motivato a intraprendere un percorso: in che direzione?
Per evitare la trappola della chiacchiera a pagamento, dedico il secondo incontro alla definizione degli obiettivi.
E’ necessario stabilire con chiarezza gli obiettivi della terapia.
Formulare obiettivi significa poter rispondere alla domanda: “Da che cosa mi accorgerò che la terapia sta funzionando?”
Non sono utili risposte generiche, del tipo “starò meglio”, ma risposte concrete ed oggettivabili, ad esempio “non avrò più paura di guidare l’auto” (se la fobia dell’auto è il sintomo per il quale si richiede l’intervento terapeutico).
Un buon modo di procedere potrebbe consistere nello stabilire valutazioni intermedie degli obiettivi raggiunti.
Vedi anche: Il decalogo dello psicoterapeuta
È importante tener conto anche di altri aspetti.
Il primo incontro non è vincolante e non rappresenta necessariamente l’inizio di un lungo percorso.
A volte può essere sufficiente per chiarire un dubbio o per ottenere le indicazioni necessarie.
Altre volte, propongo un percorso breve, di consulenza psicologica mirata alla soluzione di un singolo problema, in alternativa al percorso psicoterapeutico.
In ogni caso, fornisco le indicazioni di massima su quale scelta è più utile, lasciando al paziente il tempo per valutare e scegliere consapevolmente.
Rispettare l’impegno preso.
Può capitare che all’ultimo momento non ci si senta di andare all’appuntamento: è comprensibile e accade più spesso di quanto si pensi. In questo caso è bene avvertire, per correttezza, ma non solo.
Se non ci si presenta all’appuntamento senza avvertire, il senso di inadeguatezza impedirà di chiedere un nuovo incontro e sarà un’occasione persa.
E’ meglio avvertire per tempo, magari anche dicendo chiaramente che ancora non ci si sente pronti. Quando arriverà il momento opportuno, si potrà chiamare di nuovo.
Primo incontro gratuito?
Alcuni professionisti offrono uno o più colloqui gratuiti iniziali per permettere al paziente di orientarsi prima di decidere se intraprendere o meno un percorso di consulenza o di psicoterapia.
Personalmente, non aderisco a questa scelta.
A mio avviso, il primo colloquio è comunque un lavoro impegnativo per entrambi, richiede tempo e competenza e può da solo essere sufficiente a chiarire un dubbio, a rassicurare, a indicare una strada.
Dietro l’onorario di un professionista serio ci sono tanti anni di studi, un aggiornamento costante (e costoso), per non parlare delle spese di gestione dello studio, e gli adempimenti fiscali.
Ciò non toglie che si possa tener conto delle eventuali difficoltà economiche del paziente (io lo faccio), e stabilire un onorario adeguato a tali difficoltà.
Leggi anche:
Chi cura la psiche
Come scegliere lo Psicoterapeuta
Il decalogo dello Psicoterapeuta

Affetti speciali. Uno psicologo (si) racconta
Tante volte mi è capitato, nella mia esperienza di psicoterapeuta, di sentirmi dire da un paziente alla prima seduta: “Sulla mia vita si potrebbe scrivere un libro”. E tante volte, alla fine di una giornata di lavoro, lasciando lo studio la sera, ho pensato di essere stata messa a parte di vicende così significative, commoventi, originali, da meritare di essere raccontate.
Deve averlo pensato anche Alberto Vito, psicoterapeuta di Napoli, quando ha deciso di scrivere Affetti Speciali. Uno psicologo (si) racconta.
Leggere il libro è come entrare nello studio del dottor Vito, magicamente invisibili ai suoi pazienti, e assistere in silenzio al suo lavoro. Giorno dopo giorno, dal lunedì al venerdì, conosciamo le persone che si affidano a lui, donne e uomini con il loro carico di dolore, di speranze, di paure. E lo psicoterapeuta parla con loro, ma ogni tanto si volta verso di noi e – come in un film di Woody Allen – commenta, spiega, qualche volta ci strizza anche l’occhio.
Sicché, mentre parla con Paola, cercando una spiegazione alla sua singolare fobia – firmare in pubblico – esplora la sua vita familiare e per un momento, lascia Paola nella sua poltrona e si volta a spiegarci che peso può avere, nello sviluppo dei figli, la relazione conflittuale dei genitori.
Ogni paziente è una nuova sfida, un impegno, ma soprattutto una persona, che porta in studio il suo disagio, magari mascherato da comportamenti singolari, come il bisogno non controllabile di contare tutto – dalle matite sul tavolo del dottore, alle ore e i minuti che mancano alla prossima seduta.
Bella la metafora che Vito utilizza quando accoglie il paziente per la prima volta: “Le è stato facile arrivare sin qui?”. E non si tratta solo di traffico e di distanze, ma del travaglio interiore, spesso lungo anni, che porta la persona alla decisione di lasciarsi aiutare. Già in queste prime battute si delinea il progetto terapeutico, fatto di metodo, di sapere, ma soprattutto di umanità.
Poi il paziente esce, ma noi rimaniamo ancora un po’ in compagnia del dottore: ci lascia partecipare ai suoi sentimenti del dopo seduta, alle sue riflessioni e anche a quel momento speciale, quando il terapeuta esce dalla relazione e torna a riappropriarsi di sé, magari per gratificarsi per aver lavorato proprio bene, in quell’ultima seduta così difficile, e il premio è ordinare una bella pizza… anzi due! Magari lasciando intendere al telefono che si tratta di un incontro galante, per non far pensare che il dottore indulga ai peccati di gola.
Infine, dopo averci lasciato entrare nel suo studio per due settimane e presentato i suoi pazienti, il dottor Vito presenta se stesso, e ci ricorda che lo psicoterapeuta è una persona come tante, con le sue passioni, le sue fragilità, e accompagna il paziente per un tratto di strada, senza la pretesa di insegnargli nulla, ma solo per aiutarlo a vedere ciò che da solo non riesce a vedere.
Il terapeuta non è perfetto, ma dovrebbe almeno tendere alla perfezione. Ecco allora il “ricettario” con cui si chiude il libro: dieci ingredienti che dovrebbero fare il buon terapeuta, quella persona tanto eccezionale da essere ideale, un ideale cui ciascuno psicologo dovrebbe almeno tendere. Gli psicologi farebbero bene a confrontarsi con i dieci ingredienti e anche coloro che si accingono a scegliere il terapeuta.
La lezione da imparare è che non c’è uno psicologo ideale: “Nessuno psicologo può andar bene per tutti. Solo chi fosse totalmente privo di personalità potrebbe funzionare con chiunque. Ma, in realtà, non potrebbe lavorare con nessuno”, ci ricorda Vito, e, attraverso i racconti delle sue relazioni con le persone, ci fa comprendere quanto ciascun incontro sia unico e non riproducibile. Quando si crea l’alchimia, è la relazione stessa che cura, ovviamente supportata da un valido metodo terapeutico.
Affetti speciali non è un manuale di psicoterapia per addetti ai lavori, né un manuale di auto-aiuto per persone in difficoltà.
Non è un manuale di psicoterapia, ma è utile allo psicologo che vi riconoscerà le tecniche della psicoterapia relazionale, ma anche lo stile di Vito, che reinterpreta e personalizza le tecniche per adattarle al suo modo di essere e, di volta in volta, alla personalità di chi ha di fronte.
Non è un manuale di auto-aiuto, ma la persona sofferente potrà sfatare timori e pregiudizi sulla figura dello psicologo, scoprendo che è una persona che porta nella relazione il suo sapere, le sue tecniche, ma, soprattutto, la sua umanità.
Affetti speciali è una lettura che arricchisce e fa riflettere e, giunti alla fine del libro, magari, chissà, si può anche accogliere l’invito di Alberto Vito:
“Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”. E’ di Ermanno Olmi, il regista. Allora sono lieto di offrire un caffè, a chiunque lo desideri”.
Perché no? Di sicuro è una persona simpatica e poi… gli piace Gaber!