Il Training Autogeno può essere di aiuto in situazioni estreme?

Sembra di sì, anche se può risultare davvero efficace solo per chi è già esperto della tecnica. In questo caso, vale l’osservazione di Hoffmann: quando si cade in acqua, è il momento meno indicato per imparare a nuotare.

Già Schultz riporta due casi esemplificativi:

Quanto detto a proposito dei farmaci vasodilatatori può essere ottenuto, in soggetti ben allenati al TA, con lo svolgimento dell’esercizio del calore. Ricordo, ad esempio, il caso di un noto atleta che ormai da tre anni praticava la mia tecnica allo scopo di migliorare le proprie prestazioni; accadde che, in montagna, fu un giorno, con alcuni compagni, travolto da una slavina; furono tutti costretti a permanere per molte ore sotto la neve, a circa 30 gradi sotto zero; egli, ad intervalli distanziati di pochi minuti, praticava l’esercizio di concentrazione psichica cercando di indurre calore alle orecchie, al naso, alle dita della mani e dei piedi; di tutto quel gruppo di escursionisti fu l’unico a poter così difendersi dalle conseguenze del freddo e fu l’unico a non riportare lesioni da congelamento.
Numerosi casi simili ci vennero riferiti da ex-prigionieri di guerra che passarono lunghi anni di cattività; tra essi un ingegnere, di circa sessant’anni,che dal 1937 al 1940 aveva praticato gli esercizi del T.A.; egli mi scrisse: “II training mi fu sempre di immenso aiuto; durante due anni di prigionia trascorsi in Russia riuscii grazie ad esso a sopravvivere e potei evitare qualsiasi lesione da congelamento. (Schultz, I vol, p. 159).

Ancora Schultz:

Sotto il regime di Hitler, a causa della persecuzione razziale, dovetti sopportare ore terribili di angoscia. Ogni volta, passato il pericolo, la distensione mi permetteva di ritrovare la mia tranquillità e di ritrovare le mie energie. Per evitare di essere deportata e uccisa, nel 1942, abbandonai la mia casa e mi rifugiai da dei conoscenti. Da allora e per due anni e mezzo vissi nell’illegalità tra angosce e privazioni: dovevo affrontare i bombardamenti restando in casa da sola al buio. In tali circostanze il T.A. mi si dimostrò in tutta la sua efficacia: penso che senza questa tecnica, non sarei riuscita a superare quelle ore di angoscioso terrore. Non era che temessi di venir colpita da una bomba, ma temevo invece di poter essere ferita in conseguenza di ciò, di coinvolgere nella mia tragedia le persone che mi ospitavano per salvarmi dalla Gestapo. Al segnale di allarme, iniziava per me, ogni volta, un’orribile paura che però riuscivo rapidamente a contenere e ad allontanare, grazie agli esercizi; ero così in grado, per mezzo del T.A., di restare tranquilla ed aspettare senza paura l’imminente pericolo; quando l’attacco aereo si scatenava la distensione non poteva servirmi più a nulla. Passata l’incursione, per mezzo di una breve concentrazione potevo riacquistare la mia tranquillità. (p.141).

Assai interessante è l’esperienza di Hannes Lindemann, medico e buon conoscitore del TA.

Lindemann era un appassionato velista, amante delle avventure che oggi chiamiamo “estreme”. Nel 1955, quando aveva 33 anni, attraversò l’Atlantico in una piccola imbarcazione, senza riserve di cibo né di acqua.

Si era ripromesso di fare un’esperienza da “naufrago volontario”, essendosi posto l’obiettivo di studiare le capacità di sopravvivenza umane in caso di naufragio, sia dal punto di vista fisico che psicologico. In particolare, voleva confutare, da medico, un’idea infondata e pericolosa, che circolava in quel periodo: che in caso di necessità si potesse sopravvivere bevendo l’acqua del mare.

Scelse per il suo esperimento una piroga dell’Africa occidentale, un kru-kanu, un vero e proprio guscio di noce, con il quale, partendo dalla Liberia, giunse ad Haiti, attraversando l’Atlantico con una navigazione solitaria di 65 giorni.

Giunto sano e salvo a destinazione, dopo aver superato prove molto dure, si rese conto che l’ottima preparazione fisica con cui aveva affrontato la prova, non lo aveva messo al riparo da problemi psicologici talmente gravi da mettere a repentaglio la sua stessa vita.

Lindemann era consapevole che in casi estremi la mente può cedere prima del corpo, e che l’angoscia, il panico e la disperazione possono in questi casi risultare fatali. Pertanto, iniziò a chiedersi quale fosse l’”arma segreta” per superare quello che, secondo lui era stato il fallimento della sua impresa: il cedimento psicologico.

Si ripromise che sarebbe stato Training Autogeno, di cui lui era esperto.

Questa volta decise di riprovare, con un canotto smontabile, di sicuro inadatto alla navigazione dell’Oceano. Avrebbe avuto con sé anche l’arma segreta: il TA.

Lindemann organizzò l’impresa con la solita dura preparazione fisica, e dedicò molto tempo anche alla preparazione psicologica.

Si rivolse innanzi tutto alla fede, attribuendole un duplice significato: la fede religiosa con la forza della preghiera, ma non solo. Egli aveva “fede” anche nel senso della ferma convinzione della riuscita della sua impresa. Questo per lui rappresentava una condizione irrinunciabile per riuscire davvero.

Sei mesi prima della partenza, elaborò la sua prima formula di proponimento: “Ci riesco”. Si dedicava a questa frase durante l’esecuzione del TA, e la ripeteva e vi si concentrava spesso in vari momenti della giornata, finché il proponimento diventò motto di vita.

Dopo circa tre settimane di intenso lavoro con il proponimento “ci riesco”, Lindemann avvertì all’improvviso un profondo senso di sicurezza, e “seppe” che sarebbe tornato sano e salvo dall’impresa. Ecco le sue parole:

Avevo più volte cercato di attivare il mio inconscio, al fine di ricevere in sogno, o come “voce interiore”, una risposta alla domanda: questo viaggio è giustificato dal punto di vista morale? Arriverò sano e salvo? La risposta fu un “senso di sicurezza cosmico”, un senso cosmico di protezione, molto simile a un sentimento di tipo religioso, se non identico a esso. Solo quando mi sentii pervaso e sostenuto da questa sensazione decisi definitivamente di intraprendere la traversata.

Durante la navigazione il proponimento emerse sempre automaticamente ogni qual volta dovetti superare momenti critici. Al primo capovolgimento, soprattutto, mi commossi dolorosamente, quando il proponimento “Ci riesco” emerse improvvisamente dal buio, mi guidò, mi sostenne e quasi mi inebriò. (Lindemann, 2003, pag. 6).

E’ evidente che si tratta di casi eccezionali e di persone eccezionali. E’ altresì fuori discussione che solo una persona già molto esperta di TA può giovarsene in situazioni estreme.
A noi persone “normali” basti pensare che il TA ci può essere di aiuto in tante situazioni difficili della nostra vita quotidiana, purché abbiamo avuto la pazienza e la costanza di apprenderlo correttamente.

Opere citate

Hoffmann B.H., Manuale di training autogeno, Roma, Astrolabio, 1980.
Lindemann H., Training autogeno – Il più diffuso metodo di rilassamento, Milano, Tecniche Nuove,
2003.
Schultz I.H., Il training autogeno. I. Esercizi inferiori, Milano, Feltrinelli, 2002 (1. ed tedesca 1932).